è l'ora del referendum.
di Michele Corsi, da
Retescuole del
29/12/2004
Come qualcuno sa, sono un attivista di
Retescuole, Milano. Intervengo però a titolo personale, per
sollecitare qualche ragionamento sul che fare.
In passato diversi attivisti ci avevano chiesto: perché invece di
tante raccolte di firme non ne fate una sola e che conta davvero,
quella per indire un referendum per abrogare la riforma Moratti?
Avevamo risposto: perché è meglio fermare la riforma con la gente
nelle piazze e la resistenza nelle scuole. La posizione era corretta,
credo. Ora, però, la situazione è cambiata. Le piazze e la resistenza
hanno impedito che la riforma dispiegasse da subito i suoi effetti, ma
la riforma c'è, e la sua applicazione concreta è solo una questione di
tempo, un tempo che è già finito in varie parti d'Italia dove il
movimento non è mai stato in campo. La discussione se promuovere o
meno un referendum abrogativo attraversa gli attivisti di varie città
d'Italia, una discussione che non fa chiasso per il timore di lanciare
una iniziativa che poi non si concretizza e che crea così ulteriore
scompiglio. Forse è giunto il momento di discuterne apertamente.
Una campagna referendaria avrebbe vari benefici effetti, per il
movimento e i suoi scopi, che qui di seguito elenco.
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tra poche settimane saremo investiti dalla campagna elettorale per
le regionali. Lo specifico interesse del movimento è che la scuola
piombi in mezzo al dibattito elettorale. Abbiamo interesse, pur
trattandosi di regionali (ma il cui valore politico generale ben pochi
disconoscono), di mettere al centro (o lì vicino) della politica la
questione "riforma Moratti sì riforma Moratti no". Naturalmente
sappiamo molto bene che vi sono altri temi meritevoli di attenzione,
ma di questi non possiamo occuparcene. Siamo un movimento
"monotematico", sta nel riconoscimento di questa parzialità, e nella
conseguente assenza di volontà di giocare un ruolo di concorrenza con chichessia, la nostra forza. Una raccolta di firme che comincia
parallelamente alla campagna elettorale finirà per condizionarla
pesantemente. E finirà anche per condizionare la Gad, all'interno
della quale notiamo qua e là un certo rilassamento sulla tematica. Un
referendum costringe gli amanti dei distinguo a prese di posizioni
secche: sei per il sì o per il no?
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Qualcuno potrebbe dire: ma come, non ti è bastata l'esperienza
degli ultimi referendum dove non si è raggiunto nemmeno il quorum? Poi
diventa un boomerang! Calma. Guardiamo le cose in prospettiva. Il
referendum non potrà essere celebrato prima della primavera 2007. Per
quell'epoca ci sarà un nuovo governo: o del centro destra o della Gad.
Se vince la Gad è assai improbabile che il referendum si celebri: se
una legge viene modificata nel senso richiesto dai referendari,
infatti, il referendum salta. In questo senso l'esistenza della
"minaccia" referendum, costituirà un utilissimo promemoria per coloro
i quali, all'interno della Gad, una volta sedutisi su scranni
ministeriali, dovessero "dimenticarsi" di togliere di mezzo la
riforma. Sarà, diciamo, uno stimolo a fare e a fare in fretta. Se
invece rivince il centrodestra non mi ci vedo a fare altri cinque anni
di resistenza dal basso scuola per scuola. A quel punto il referendum
diverrebbe davvero LO strumento per farla finita con una legge che la
maggiornaza del popolo della scuola respinge.
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Non possiamo nasconderci che il movimento attraversa una fase di
difficoltà. Si fa fatica a mobilitare. Vi è un misto di rassegnazione,
rabbia, resistenza localizzata, ricerca di un "qualche cosa di
diverso". Quel che è certo è che non possiamo replicare quanto
avvenuto l'anno scorso. La massa di coloro che si sono mobilitati non
è tormata a casa, ma ha voglia di agire in maniera immediatamente
utile, e non più routinaria. Le campagne referendarie sono anche
potenti mezzi per rimettere insieme e rimotivare la gente. Per sua
stessa natura questo genere di campagna "obbliga" a coordinarsi,
tornare alla base, spiegare, presenziare. Non si tratterebbe della
solita raccolta di firme che non si sa che fine fa. E' una raccolta
che vincola le istituzioni.
Queste le tre ragioni "politiche". Affrontiamo ora le problematiche di
carattere tecnico-organizzativo.
Se (SE) abbiamo interpretato bene la legge, i tempi sono strettissimi.
La legge stabilisce che la consegna delle firme non possa avvenire
nell'anno precedente le elezioni politiche. Le ultime elezioni sono
avvenute il 13 maggio, dunque dobbiamo consegnare entro il 13 maggio
2005. Per la raccolta sono consentiti 3 mesi di tempo dal deposito del
quesito: i primi di febbraio tutto deve essere pronto per l'inizio
della campagna. Dunque in realtà c'è un mese di tempo per preparare un
quesito che funzioni e che non sia bocciato dalla Corte
Costituzionale, per costituire un comitato promotore, per approntare i
moduli di raccolta firme, per distribuirli. Serve organizzazione,
velocità, radicamento capillare (anche al Sud, anche nelle piccole
città), competenze specifiche, soldi. Ce la possono fare i movimenti a
mettere insieme tutte queste cose nel giro di un mese (anzi molto
meno, dato che si deve tener conto anche del tempo necessario ai
movimenti per riunirsi e decidere se lanciarsi nella campagna o no)?
E' bene essere chiari: no. Ce la possono fare solo le organizzazioni:
partiti, sindacati, associazioni.
Sino ad ora movimenti ed organizzazioni sono andati avanti in maniera
separata e parallela. Le organizzazioni si sono ritrovate nei fatti
intorno al "Tavolo fermiamo la Moratti", i movimenti si sono ritrovati
nelle loro periodiche assemblee nazionali. Il dialogo è stato " a
distanza", i momenti di frizione e/o incomprensione non sono mancati.
Ma, nei fatti, i grossi momenti di mobilitazione nazionale sono stati
gestiti insieme. Del resto le organizzazioni non erano in grado di
organizzare la mobilitazione nelle grosse città e la resistenza scuola
per scuola. Erano però le uniche a disporre di una struttura in grado
di gestire appuntamenti nazionali e mobilitare i piccoli centri.
Se (SE) si decide di partire con la campagna referendaria i ruoli
"obbligati" appaiono piuttosto chiari, arrivati a questo punto. Sono
solo le organizzazioni che in un mese possono mettere in moto la
macchina per far partire la campagna. Del resto è solo il pieno
coinvolgimento dei movimenti, e non il loro esclusivo utilizzo come
truppe, che può assicurare la raccolta di 6-700.000 firme. La
possiblità di far firmare tanta gente infatti dipende in larga misura
dalla capacità di "entrare" nelle scuole. E una raccolta
eccessivamente targata in senso partitico o sindacale farebbe poca
strada. E' vero che il prc ha raccolto quasi da solo le firme per
l'art.18 ed è vero che la cgil ha fatto altrettanto sulla sua proposta
di legge, ma queste organizzazioni avevano una militanza pienamente
motivata su quell'obiettivo. Non è così per la riforma Moratti. E'
vero che ds e prc hanno assicurato la raccolta di firme sulla
fecondazione, ma ciò è avvenuto anche grazie alla coincidenza con le
feste di Liberazione e dell'Unità, un vantaggio di cui noi non
godremo. La massa delle firme per abrogare la riforma Moratti si
raccoglieranno nelle scuole, e non nei banchetti allestiti in qualche
piazza. Su questo c'è poco da girarci attorno. E dovremmo porci
obiettivi ambiziosi. "Un milione di firme contro la Moratti", potrebbe
essere uno slogan, ma anche un obiettivo, se tutte le condizioni che
abbiamo descritto si verificassero, un obiettivo raggiungibile e di
alta risonanza politica.
Le cose da fare per chi pensa che quanto abbiamo scritto non siano
pirlate sarebbero dunque: che le organizzazioni prendessero in
considerazione la proposta, che i movimenti ne discutessero
apertamente, e che poi tra queste due entità, se le risposte fossero
positive, ci si ritrovasse per organizzare concretamente la campagna.
Sappiamo che le organizzazioni raccolte intorno al Tavolo stavano
pensando ad una o più manifestazioni nazionali da realizzarsi a
febbraio. Una idea che ci vedeva un po' perplessi, per motivi che non
riprendiamo. Ma se quella iniziativa si costruisse come il momento di
lancio della campagna referendaria, allora il suo significato e la sua
utilità avrebbero ben altro spessore.
Ci siamo concentrati sulla questione referendaria per fornire un
quadro argomentativo completo. Ma, ovviamente, sia che la proposta
venisse accolta (da movimenti e organizzazioni) sia che venisse
respinta, le cose da fare, per il movimento, non mancherebbero
comunque. Solo che, oltre alla resistenza scuola per scuola,
toccherebbe inventarsi anche "altro". I movimenti, del resto, sul
piano dell'eleborazione "programmatica" hanno fatto un notevole passo
in avanti con l'assemblea di Genova. Da lì sono emersi non pochi punti
sulla scuola che vorremmo, sulla riforma che sarebbe necessaria
(obbligo a 18 anni, biennio unico, ecc.). Sarebbe interessante, quei
punti, trasformarli in una legge di iniziativa popolare per la quale
occorrono 50.000 firme. Come movimenti o come singoli movimenti nelle
nostre città nulla ci impedisce di accompagnare all'eventuale raccolta
referendaria per l'abrogazione della riforma, anche quella per una
proposta di legge di iniziativa popolare: non vi è nei fatti alcun
automatismo che obblighi poi il Parlamento a discuterne, ma è un
segnale politico forte poter affermare che insieme all'abrogazione
proponiamo anche cose nuove per la nostra scuola.
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