Lettura in classe, confronti e colloqui individuali:

via ai progetti per combattere la povertà lessicale.

Un preside: gli studenti arrivano dalle medie sempre più «poveri»

«Test, quiz e sms: i ragazzi non sanno più parlare».

I docenti: sono influenzati dal linguaggio informatico.

Utilizzano parte di frasi e non usano correttamente soggetto, verbo e complemento.

 

di Annachiara Sacchi da Il Corriere della Sera del 6 Dicembre 2004

 

«Non sanno più parlare». O forse non c’è più tempo per «farli parlare». Nemmeno a scuola. Dove non si legge più ad alta voce, dove le interrogazioni sono diventate questionari a risposta multipla, dove il programma impedisce discussioni e approfondimenti. La denuncia arriva dagli insegnanti: gli studenti rispondono a crocette nei quiz di filosofia, latino, biologia, le «interrogazioni» sono sempre più scritte, risposte di cinque o dieci righe. Per forza poi arrancano a esprimersi oralmente. «Usano frasi monche, inciampano alla prima subordinata, risparmiano su tutto, soggetto, verbo, complemento. Ragionano per sms. E il pensiero si affievolisce». Dalle elementari fino al liceo.

«La parola - commenta Guido Panseri, insegnante di storia e filosofia al liceo classico Berchet - rischia di non essere più coltivata nella sua funzione comunicativa, ma solo in quella informativa. E, in questo modo, diventa pura segnaletica». Risultato: un linguaggio «privo di colore, di sfumature». Panseri continua: « In principio era la parola . Lo dice il Vangelo di Giovanni, ma anche Platone. Non dimentichiamolo».

E i riferimenti all’antichità, «quando si leggeva ad alta voce», sono tanti. Sant'Agostino è meravigliato nel vedere per la prima volta Ambrogio, vescovo di Milano, leggere con «la voce e la lingua che rimanevano immobili» (Confessioni VI, 3, 3).

Meglio correre subito ai ripari: stimolare alla lettura, incitare i ragazzi a parlare, a confrontarsi. «Il problema - racconta Silvia Di Pietro, preside della media Salerno Sant’Ambrogio - si avverte soprattutto con i preadolescenti che parlano poco con gli adulti. Alle medie, poi, le materie sono tante e ogni ora c’è un prof diverso».

Eppure una soluzione, per i 730 ragazzi che frequentano le aule di via Salerno, via De Nicola, via Crivelli, è stata trovata. «Abbiamo sperimentato - continua la preside - un portfolio (diverso da quello della riforma) molto attento alla persona. Il progetto prevede colloqui individuali di lunga durata con i ragazzi e le famiglie: trovare il tempo per gli studenti è fondamentale. Abbiamo anche uno sportello di ascolto. Utilizzatissimo, lo confermeremo anche se il Comune dovesse tagliarci i fondi».

Poco tempo per il confronto e l’approfondimento. «È questo il vero problema - commenta Guido Soroldoni, preside dell’istituto comprensivo di via Adua, a Seveso - anche se la situazione non è così drammatica come sembra». Anzi, proprio a causa della «povertà lessicale» dei ragazzi, molti insegnanti hanno aumentato l’impegno in classe. Come Annamaria Romagnolo, docente di lettere all’istituto Torricelli. «È vero - dice - partiamo da livelli più bassi, ma per questo ci siamo organizzati con una serie di attività. Per esempio proponiamo molte letture, anche dei quotidiani. Insomma, non è vero che a scuola non si discute. Anzi, io lo facevo molto meno vent’anni fa, quando gli studenti erano più preparati».

Anche Milena Ancora, professoressa di lettere allo scientifico Vittorini, è d’accordo: «Arrivano dalle medie sempre più "poveri". Dobbiamo stimolarli e guidarli nella ricerca delle parole con letture e analisi etimologiche. Invitandoli a usare sempre un lessico adeguato. E a leggere».

Ma la provocazione arriva da Guido Panseri: «La scuola se non è educazione alla parola libera non è niente. Se non c’è il rapporto con l’altro, perché non abolirla?».

 

asacchi@corriere.it
Annachiara Sacchi