Secondo ciclo. E le Regioni? da Tuttoscuola di giovedì 16 dicembre 2004
Il rischio su come si sta sviluppando il progetto di riordino del secondo ciclo è che si stiano facendo "i conti senza l’oste", che sarebbero in questo caso le Regioni. E’ vero che la riforma del Titolo V, parte seconda, della Costituzione ha trovato finora solo una parziale attuazione ma ciò non toglie che essa affida alle Regioni, cioè al territorio, la gestione e l’organizzazione dell’intero sistema educativo di istruzione e di formazione. La sentenza della Corte costituzionale n. 13 del gennaio scorso ha confermato, per non pregiudicare l’erogazione del servizio, la definizione delle dotazioni organiche del personale docente delle istituzioni scolastiche e l’esercizio della competenza allo Stato solo in via provvisoria ed in attesa che le "Regioni si saranno dotate di una disciplina e di un apparato istituzionale idoneo" ad esercitare la riconosciuta competenza. Ciò significa che la distribuzione e la gestione del personale docente e non docente, l’allocazione delle risorse per le diverse scuole, le politiche per il diritto allo studio, i criteri per la programmazione e la distribuzione dell’offerta formativa territoriale tra licei e istituti dell’istruzione e formazione professionale sono tutti atti di competenza delle Regioni. Questione di tempo, ma è così. Se queste sono le prospettive, che senso ha dire che i licei rimangono allo Stato e gli istituti dell’istruzione e formazione professionale alle Regioni? Lo Stato deve dettare le norme generali sull’istruzione e i livelli essenziali delle prestazioni per l’istruzione e formazione professionale. Tutto il resto è competenza delle Regioni.
Ma il cantiere del secondo ciclo resta aperto Certo è, tanto per citare uno dei principali nodi in campo, che più si licealizza l’istruzione tecnica (malgrado la moltiplicazione degli indirizzi) e più difficile sarà garantire l’unità e la pari dignità del secondo ciclo, anche perché, senza adeguata riprogettazione dell’intero sistema, l’attuale istruzione professionale – ammesso che sia possibile un suo trapianto indolore nel sistema a competenza regionale –, riorganizzata su percorsi tri-quadriennali, avrebbe come modello di riferimento più l’ex formazione professionale regionale (o il proprio stesso passato pre "Progetto ‘92") che il sistema dei licei. Un problema parallelo è quello dei piani di studio dei due sistemi (o sottosistemi, come propone Bertagna): per poter dialogare, essi devono essere progettati in modo unitario. Ma mentre, bene o male, per i licei si sta procedendo, non altrettanto risulta che si stia facendo per i percorsi del sistema di istruzione e formazione. E anche se in qualche segreta stanza qualcuno stesse lavorando a ciò, lo farebbe "a prescindere" dal lavoro che si sta sviluppando per i licei. Anche su questo occorrerà accendere i riflettori del dibattito pubblico, e trovare soluzioni adeguate, condivise nel modo più ampio possibile, e comunque tali da dare un concreto significato alla nozione di "pari dignità" (sociale, culturale, curricolare) di tutti i percorsi. |