Il doppio aspetto dell'autonomia.

 di Emma, da Retescuole del 12/12/2004

 

Siamo ad un momento di svolta: riflessioni di un’insegnante sui mesi decisivi che ci aspettano.

Altri in modo più autorevole e più approfondito si sono pronunciati sull’attuale momento. Credo però che un po’ tutti quelli che hanno a cuore la scuola pubblica debbano dire ciò che pensano sul futuro e sull’iniziativa.

Grazie all’autonomia è stata effettuata la resistenza all’attuazione della cosiddetta riforma.
Grazie a lei non sono ancora arrivati gli effetti più rovinosi della stessa nella stragrande maggioranza delle scuole del territorio nazionale.
L’attacco del governo alla scuola pubblica aveva un forte carattere accentrato e la risposta di quanti si sono opposti ha avuto carattere di richiamo democratico, nel rivendicare gli spazi autonomi da poco conquistati.
In questi ultimi mesi però appare evidente che il MIUR ha anch’esso pensato di usare l’autonomia, ma in senso opposto al nostro, utilizzando in suo nome l’ideologia dell’aziendalismo allo scopo di far passare una serie di misure e di leggi che stravolgono la nostra scuola, anzi tentano di annientarla. A rendere più caotico tale quadro concorre la devolution.

Noi abbiamo cercato di migliorare la scuola, rapportandola al territorio e ai bisogni. Abbiamo messo al centro del nostro lavoro l’insegnamento. Abbiamo detto no all’insegnamento dall’alto, per adottare una didattica che fosse individualizzata (non personalizzata), che tenesse conto degli stili cognitivi, dei problemi psicologici, sociali e quant’altri, nonostante le classi numerose e le mille difficoltà. Quella, perseguita da noi, è una didattica che si propone di integrare tutti.

 

La scuola che ci viene proposta è una scuola che, al contrario, rende tutti diversi. L’alunno è di nuovo solo nel suo apprendimento. Perde di valore il gruppo classe e il team docenti. E’ solo con il suo orario, il suo portfolio, il suo tutor , i suoi genitori e i suoi problemi sociali. Gli altri sono sullo sfondo.
La scuola autonoma morattiana non è efficiente ed efficace, nel senso di saper fornire al meglio i saperi essenziali e di saper formare i migliori cittadini possibili. Diventa efficiente in senso aziendalista, offrendo cioè un servizio con la minima spesa. Ma la Moratti e i suoi cervelloni vanno ancora al di là. Tentano di scompaginare la scuola pubblica in tante realtà separate e diverse le une dalle altre. Una vera babele.
E lo fa, ad esempio, dando indicazioni provvisorie che usa come definitive e prorogando il termine per reiterare la legge, non essendo ancora pronti tutti i decreti attuativi, con una protervia senza precedenti. Lo fa con il caso delle schede di valutazione e con le sue mille circolari contraddittorie. Ogni occasione è buona.
Il resto lo fanno le altre leggi, approntate all’uopo. Lo fanno la messa in crisi degli Organi collegiali e la gerarchizzazione del corpo docente, ideata dalla nuova legge sullo stato giuridico.

Viene creata una nuova frattura tra i lavoratori della scuola, separando i docenti dal personale ATA. Per rendere poi gli insegnanti ancora più deboli (non basta mai) li si inquadra in un ordine professionale e li si obbliga ad un controllo valutativo stretto da parte di un sistema collegato all’esecutivo. Nella sua corporazione il docente, qualsiasi sia il suo livello: iniziale, ordinario o esperto che sia, vede compromessa la sua dignità e la sua libertà di insegnamento, viene sottoposto a svariati esami, ogni quattro anni (altro che concorsone!) e, per di più non ha nessuno che lo possa difendere, perché perde la sua rappresentanza sindacale. Niente si può fare, qualora dovessero passare tali diabolici disegni, senza fare concorsi (anche la vicedirigenza va a concorso, per cui il vicario diventa una figura simile all’attuale dirigente, non più un collega alla pari); il docente possiede anche lui il suo bravo portfolio. Il suo destino è deciso per legge, tutto è stato decontrattualizzato.

Passiamo al che fare. A mio avviso al tentativo di dividere e disarticolare occorre una forte risposta unitaria e di ricomposizione. Ma come?

1) Bisogna continuare a respingere, come si sta facendo con successo, la legge n. 53 e i decreti attuativi, ostacolandone l’applicazione. Quanto più varia è l’iniziativa, in vestendo scuole, territorio, web, enti locali, informazione tradizionale, meglio è. Oltretutto in tal modo si può permettere la partecipazione di tutti i soggetti sparsi sul territorio nazionale.

2) E’ utile perciò continuare ad utilizzare la nostra autonomia per proseguire le consuete battaglie nei collegi e in tutte le sedi in cui si può.

3) E’ necessario però estendere la lotta a tutto il disegno complessivo in campo, compreso i disegni di legge riguardanti gli organi collegiali e lo stato giuridico. Infatti, anche se riuscissimo a conservare la situazione come adesso, impedendo lo sfilacciamento che potrebbe sopraggiungere per stanchezza, se passassero le altre leggi, salterebbero i cardini della nostra resistenza sul tutor: gli organi collegiali e il contratto, ad esempio.

4) Occorre dunque mettere in campo un’azione di informazione capillare su tali temi (non credo infatti che tutti coloro che sono più o meno informati sulla cosiddetta riforma, conoscano anche il resto); bisogna convincere dell’entità dello stravolgimento, che stanno tentando di attuare, i molti insegnanti che accarezzano l’idea, a volte presi dalla stanchezza e dalle difficoltà, di poter tentare di insegnare, accettando la riforma e illudendosi di continuare in qualche modo a lavorare come sempre, anche se in condizioni più difficoltose.

5) Devono essere coinvolti tutti colo che sono danneggiati dal disegno di questo regime. I lavoratori della scuola, i genitori, i cittadini, ma anche i sindacati tutti, che rischiano di essere estromessi completamente. Non mi sembra questo il momento delle polemiche e delle divisioni nei confronti di questi ultimi.

6) In questo quadro il referendum abrogativo, riproposto in questi giorni, può avere la funzione di ricompattare il fronte degli oppositori alla Moratti. Un referendum potrebbe ad esempio spingere coloro che hanno iniziato timidamente a collaborare alla riforma, anche se non la gradiscono (cosa apparsa evidente quando li abbiamo visti scioperare il 15 novembre), a prendere posizione. Ha un senso però, e può veramente riuscire, se è collocato in un quadro di lotta complessiva che risponda all’intero attacco alla scuola pubblica.