Dalla scheda di Stato alla scheda di Arlecchino.
di Dedalus, da
ScuolaOggi del 24/12/2004
Quest’anno ne vedremo di tutti i colori. In
senso non metaforico. Stiamo parlando del documento di valutazione o
scheda personale dell’alunno. Con la circolare ministeriale n. 85 del
3 dicembre 2004 si apre la strada infatti al “fai da te”, alla
devolution spinta in fatto di attestazione dei risultati raggiunti e/o
di certificazione delle competenze. Ma riepiloghiamo quel che è
successo negli ultimi tempi ripercorrendo rapidamente il cammino degli
anni passati.
C’era una volta… la pagella. Come scrive Maurizio Tiriticco (*)
con la consueta perizia e competenza, la “svolta” si ha nel 1977:
allora, con la legge n.517, storica legge antesignana dell’innovazione
nella scuola di base, viene introdotta la scheda personale
dell’alunno. Nei due gradi della scuola dell’obbligo, al posto della
tradizionale pagella, che viene abolita, viene adottato il “documento
di valutazione dell’alunno”, redatto dal Ministero. Al suo interno, i
giudizi verbali analitici e sintetici prendono il posto dei
voti decimali. Nel 1993 la scheda subirà un primo cambiamento, dopo la
stagione dei nuovi programmi e della programmazione curricolare: viene
riscritto un nuovo modello contenente degli “indicatori” che gli
insegnanti devono poi declinare, indicando con delle lettere (A, B, C,
D, E) il livello di competenza raggiunto dagli alunni. Questo modello
(e le famose letterine che avevano sollevato non poche perplessità)
viene in seguito modificato nel 1996 (Ministro dell’Istruzione
Berlinguer). Viene abbandonata la “valutazione di criterio”: i criteri
indicatori su ciascuno dei quali si esercitava prima il giudizio degli
insegnanti vengono accorpati tutti insieme e l’indicazione dei livelli
raggiunti viene sostituita con dei giudizi di valore (ottimo, buono,
distinto, sufficiente, insufficiente) nell’intento di semplificare la
scheda e di renderla più comprensibile. In realtà, come sostiene
Tiriticco, la semplificazione porta ad una concezione riduttiva delle
discipline e dei processi valutativi e manda in soffitta anni di
ricerca su questi temi.
Giova ricordare ad ogni buon conto che – sul versante della
comunicazione dei processi valutativi e della certificazione (che
ha valenza esterna e pubblica) – il modello di scheda di valutazione
in tutti questi anni resta fermamente nelle mani del Ministero,
rientra a pieno titolo nelle sue competenze ed è omogeneo, uguale per
tutti, sul territorio nazionale.
Con una curiosa e abbastanza sorprendente interpretazione
dell’autonomia delle istituzioni scolastiche ora il MIUR rivolta la
frittata. Le vecchie schede sono state abrogate con i provvedimenti
del 1999 (DRP n.275, Regolamento dell’autonomia delle istituzioni
scolastiche) e del 2003 (legge n.53). A tale abrogazione dovevano
seguire indicazioni chiare al fine di sostenere le scuole
nell’attività valutativa. Il Ministero doveva definire gli indirizzi
generali della valutazione, i livelli essenziali delle competenze
e doveva pure - secondo lo stesso Regolamento sull’autonomia -
definire nuovi modelli di certificazione. La scheda abrogata nel 1999
(non oggi, quindi!) ha continuato invece a sopravvivere, stampata dal
Poligrafico dello Stato e distribuita alle scuole in tutti questi
anni. In pieno regime di “transizione”, dunque.
Da un lato appare abbastanza chiaro che per il MIUR alla fine di
questa transizione dovrebbe esserci il portfolio delle competenze
degli alunni: questo infatti, secondo logica, dovrebbe essere il nuovo
documento/strumento di valutazione. Ma il portfolio è ancora in mezzo
al guado, così come il tutor, il docente che dovrebbe gestirlo. E del
portfolio non si parla né nella legge n.53/2003 né nel D.Lgs. n.59/2004
né nella CM n.29/2004. Il portfolio esiste solo, oltre che nella testa
del prof. Bertagna, nelle Indicazioni nazionali, allegate al decreto
legislativo e aventi peraltro valore transitorio (in attesa di
programmi definitivi o comunque in attesa di formale riconoscimento
giuridico in quanto tali).
D’altra parte, non essendo di fatto in grado di proporre nuovi criteri
indicatori definitivi (in assenza di nuovi programmi, formalmente
approvati e ufficiali), il MIUR non può nemmeno permettersi
l’emanazione di un nuovo documento di valutazione “ufficiale”, valido
a livello nazionale. E così dal cappello salta fuori il coniglio
dell’autonomia: poiché nel decreto legislativo n.59 del 29 febbraio
2004 sta scritto che “la valutazione, periodica e annuale, degli
apprendimenti e del comportamento degli alunni e la certificazione
delle competenze da essi acquisite sono affidate ai docenti
responsabili delle attività educative e didattiche previste dai piani
di studio personalizzati”, se ne fa derivare che sta alle scuole
provvedere direttamente all’elaborazione degli stessi modelli di
valutazione e di certificazione delle competenze. Per la precisione,
all’“équipe pedagogica” dei docenti (altra nuova invenzione, che non
trova riscontro fra gli organi collegiali della scuola, almeno oggi e
sul piano normativo). Quindi, il Ministero rinuncia ad una propria
funzione e la devolve alle scuole. Provvedano esse a stampare nuovi
modelli di valutazione, sulla base di “esempi di indicatori”
desunti dalle Indicazioni nazionali e “suggeriti” dal MIUR, ma con
grande libertà per le scuole e, in ogni caso, a loro spese. E così
siamo arrivati alla polverizzazione del documento di valutazione
nazionale e all’elaborazione e produzione in proprio delle schede. Un
vero e proprio “fai da te” come perfino il Sole24 ore ha riconosciuto,
con non poche perplessità.
Così vi saranno scuole che adotteranno il modello suggerito dal MIUR
sic et simpliciter, altre che si eserciteranno nella modifica o
rielaborazione degli indicatori, altre ancora che utilizzeranno le
schede in uso precedentemente in attesa di nuovi modelli (elaborati
dal Ministero o dalle scuole stesse), qualcuna addirittura che userà
il modello nuovo e gli indicatori vecchi, e così via. Fantastico.
A proposito di questa brillante quanto sospetta riscoperta
dell’autonomia scolastica da parte del MIUR c’è da osservare che un
conto sono le metodologie di valutazione, di verifica e documentazione
dei processi di apprendimento dell’alunno (sicuramente di competenza
dei docenti e delle singole scuole) un conto è
l’attestazione/certificazione dei risultati raggiunti. Questa non può
prescindere da standard di apprendimento irrinunciabili, dalla
definizione di quei livelli di competenza essenziali, validi per tutti
gli alunni e uniformi su tutto il territorio nazionale.
Come scrive puntualmente Tiriticco, di fatto “l’Amministrazione non
è stata in grado di coniugare il concetto di autonomia con quello di
obiettivi chiaramente scanditi, irrinunciabili e validi per tutte le
istituzioni scolastiche.” Quindi: “si apre la strada ad una
sorta di anarchia per cui si avranno differenze valutative tra scuola
e scuole, sia a livello procedurale sia sotto il profilo sostanziale.
Infatti, i giudizi espressi saranno difficilmente comparabili,
sincronicamente, da scuola a scuola, e diacronicamente, per quanto
riguarda lo sviluppo/crescita del singolo allievo ed il suo eventuale
passaggio da una scuola ad un’altra”.
In questo contesto allora non ci sembra affatto “conservatrice” o “di
comodo” la scelta di quei Collegi e di quelle scuole che hanno deciso
di mantenere la scheda vecchia, stampandola a proprie spese, invece di
ricorrere al nuovo modello proposto e suggerito dal MIUR. Per più
ragioni. La principale è che con questa scelta si vuole dare un
segnale “politico” forte: sta al Ministero indicare criteri generali
di valutazione come pure definire nuovi strumenti e documenti di
valutazione omogenei e validi su tutto il territorio nazionale.
L’autonomia non può costituire un alibi (la riprova ne è lo stesso
Regolamento del 1999 che proprio su questo punto - vedi gli articoli 8
e 10 - è chiarissimo, con una netta distinzione di competenze tra
scuole autonome e Amministrazione centrale).
La seconda, secondaria ma non irrilevante, è che non si vede perché
docenti e scuole debbano elaborare in fretta e furia (la CM n.85 è
uscita il 3 dicembre 2004 !), in prossimità della scadenza
quadrimestrale, nuovi indicatori, sulla base di Indicazioni nazionali
che restano comunque un fatto transitorio e nell’attuale situazione di
stallo in cui si trovano questioni nodali quali il protfolio e il
tutor e/o le funzioni tutoriali, ancora in alto mare o comunque non
ben definite.
Questo non vuol dire rifiutarsi di ragionare sulla questione più
complessa della valutazione (procedure, metodologie, analisi critica
dell’esistente) o rinunciare a ripensare/rielaborare una vera e
propria cultura della valutazione. Anzi, proprio in questo senso ha
ragione Tiriticco a dire che “la valutazione è una cosa troppo
seria per essere così maltrattata”…
Ma la certificazione degli esiti, ripetiamo ancora una volta, è cosa
diversa dalla valutazione e dalle modalità di documentazione dei
processi formativi. Essa era e deve restare di competenza di un organo
centrale dello Stato, quale il Ministero dell’istruzione (già
pubblica). Per questo ha senso contrastare, per quanto possibile, e
resistere alle pulsioni di dissoluzione e di disfacimento della scuola
di Stato e del sistema nazionale di istruzione che si manifestano
anche in queste forme. L’autonomia delle istituzioni scolastiche non
c’entra in questo caso, è solo un pretesto o una scusante. E’ una
questione di principio? Può essere. Ma è proprio sui principi che non
bisogna cedere. All’orizzonte non c’è una reale autonomia didattica e
organizzativa, ma l’introduzione di “elementi di mercato” e di forme
di liberismo nella scuola pubblica statale.
(*) Maurizio Tiriticco, Dalla pagella alla
scheda, in Notizie della scuola n.9, 1/15 gennaio 2005, Tecnodid