A proposito di iscrizioni, modelli orari, organici.

di Grilloparlante, da ScuolaOggi del 16/12/2004

 

Il dibattito sulle iscrizioni 2005/2006 e sui relativi modelli da usare è indice dello stato di incer-tezza che vive la scuola di questi tempi, nel bel mezzo di una Riforma incompiuta e soprattutto non condivisa. La stessa polemica, se così si può chiamare, e le differenze emerse tra l’Andis e i sindacati confederali torinesi vanno lette in questo contesto. E così anche l’intervento di Federico Niccoli su ScuolaOggi.

Il cuore dell’intervento di Niccoli sta nel rifiuto di un modello orario e scolastico “spezzatino”, con un ventaglio di opzioni possibili per i genitori quasi fossero al supermercato e non di fronte ad un’offerta formativa, coerente e motivata, che l’istituzione scolastica stessa propone all’utenza. Non ad una variegata e mutevole clientela, si badi bene, ma all’utenza scolastica di un determinato territorio. Niccoli rivendica quindi l’integrità e l’unitarietà del progetto educativo e curricolare della scuola, senza divisioni interne tra quota oraria obbligatoria, facoltati-va/opzionale ed aggiuntiva, con motivazioni di ordine pedagogico ampiamente condivisibili.

Lascia invece un po’ più perplessi la proposta di un modello orario con due opzioni (tempo pie-no di 40 ore con due insegnanti, comprensive del tempo mensa o tempo scuola di 30 ore con eventuale tempo mensa aggiuntivo). O meglio: questa proposta può essere coerentemente so-stenuta nel caso di scuole che da anni sono strutturate interamente a tempo pieno. Occorre però tener presente la realtà (a Milano pochissimo diffusa ma in altre province o nel territorio nazionale maggioritaria) delle preesistenti classi a modulo.

Di fatto le 27 ore (elevabili a 30 con la lingua straniera dalla terza classe) erano già il modello orario e scolastico prevalente. Questo infatti era il “modulo didattico”, fulcro della legge 148/90, che ora la riforma Moratti vorrebbe abbattere, accanto al tempo pieno, con una conce-zione dell’orario scolastico e della scuola come “servizio a domanda individuale”, con una frammentazione di orari diversificati a seconda delle richieste del singolo genitore-cliente.

In questo senso l’alternativa che si può ragionevolmente proporre alle famiglie – specie nelle scuole ove vi erano già sia modulo che tempo pieno – può essere proprio la riproposta di que-sti due modelli orari ed organizzativi. E cioè: chi opta per un modello orario ridotto, un tempo scuola “breve”, il solo “tempo obbligatorio delle lezioni”, conferma l’iscrizione alle classi a mo-dulo (27 ore in prima e seconda, con 1 o 2 rientri pomeridiani ed eventualmente possibilità di mensa), chi vuole un tempo scuola “lungo” conferma la scelta del tempo pieno (30 ore di le-zione e 10 di mensa). D’altra parte non era proprio il Ministro Moratti, in un dibattito televisivo, a ripetere con tono rassicurante che dal punto di vista orario ed organizzativo “non cambia nul-la”…?

Non trascuriamo tra l’altro il fatto che sul piano dell’organizzazione didattica (e degli organici) restano tuttora in piedi i modelli del tempo pieno (2 insegnanti, una classe) e del modulo (3 in-segnanti su due classi). Questi modelli non sono (ancora) stati soppiantati, almeno a Milano, da una nuova e diversa organizzazione didattica fondata su tutor e insegnanti di laboratorio (1 insegnante tutor per classe + x insegnanti per n classi…?). Questo passaggio, almeno sul piano contrattuale e dell’organizzazione del lavoro dei docenti, è tutt’altro che compiuto. Non solo, ma occorre ricordare che comunque i criteri e le modalità di utilizzo dei docenti, una volta as-segnati alle scuole, sono di competenza del Collegio, nell’ambito dell’autonomia didattica ed organizzativa delle scuole.

Il vero problema allora, ancora una volta, è l’organico docenti: quanti docenti verranno asse-gnati alle scuole e sulla base di quali parametri? Non più i 3 insegnanti ogni 2 classi nel modulo e i 2 insegnanti per classe nel TP, ma un numero di docenti ricalcato sulle quote orarie com-plessive della scuola, destinato cioè alla mera copertura oraria? E’ chiaro che questa variabile diventerà decisiva e condizionerà pesantemente le stesse scelte e possibilità delle scuole.

Ma per il momento, perché discostarsi dai vecchi modelli preesistenti, che garantivano unitarie-tà e organicità dell’insegnamento?

Occorre poi aggiungere che le famose 3 ore “opzionali-facoltative”, nell’ambito del tempo pie-no, possono essere opportunamente inserite nelle ore di compresenza. Nel tempo pieno infatti due volte la settimana i docenti della classe vengono a trovarsi contemporaneamente presenti , in genere dalle 10,30 alle 12,30, in taluni e più rari casi anche dalle 14,30 alle 16,30. Ora è indubbio che le attività di recupero o di laboratorio (si pensi al laboratorio di informatica ma anche ad altri, creativo-espressivi, ecc.) possono essere utilmente svolte proprio in questa fa-scia oraria, con i due insegnanti compresenti. Anzi, è proprio la compresenza che rende possi-bile l’apertura delle classi e il lavoro per gruppi di alunni. Senza compresenza non c’è altro che la classe intera, con un rapporto numerico 1 docente/20-25 alunni. Proprio questa è una delle ragioni che stanno alla base della difesa del Tempo Pieno contro un modello orario “spezzati-no”, elevabile anche “ad un massimo di 40 ore” (le 40 ore della Moratti, appunto), ma senza compresenze e senza contitolarità sulle classi.

Per questo, nell’attuale fase di incertezza normativa, conviene trovare un punto d’appoggio e sostenere i modelli orari ed organizzativi che hanno prodotto buoni risultati, mantenendo l’alternativa fra due opzioni fondamentali, tempo “pieno” e tempo “breve” (o normale, o mini-mo, obbligatorio, che dir si voglia…). O caldeggiando l’iscrizione al tempo pieno laddove questo ha rappresentato da anni un’oggettiva esigenza e una diffusa richiesta dell’utenza (a Milano città oltre il 95% delle classi!) oltre che un valido progetto educativo.

Aspettiamo comunque la circolare ministeriale sulle iscrizioni. E soprattutto aspettiamo di co-noscere come verranno determinati gli organici. Chissà che il MIUR non ci riservi qualche altra, amara, sorpresa.