settembre e la "riforma".

di Gianluca Gabrielli (CESP Centro Studi per la Scuola Pubblica - Bologna)

da fermiamo_la_moratti del 31/8/2004

 

  Gli allievi mangiano
ciò che i professori hanno digerito

Karl Kraus

Il movimento di lotta che ha messo in discussione la riforma Moratti vive oggi un passaggio importante. Superata la metà legislatura il governo è riuscito ad emanare il primo decreto applicativo ma è stato accompagnato da un movimento di dissenso sociale estremamente determinato ed articolato in numerose città. Il cuore di questo movimento è stato rappresentato dal "popolo del Tempo Pieno", genitori e lavoratori della scuola accompagnati dalla simpatia e dalla partecipazione di una parte della società civile.

Lungo il percorso sono stati messi in discussione sia le innovazioni dovute direttamente all'azione del governo Berlusconi, quella che potremmo chiamare "Riforma" Moratti propriamente detta, sia una serie di mutamenti di medio periodo che nessuno aveva avuto forza e coraggio di rimettere in discussione negli ultimi 5-15 anni: mi riferisco alla tacita accettazione dell'esaurimento del tempo pieno praticata da tutti i governi dal 1990 ad oggi, ma anche ad altri elementi, su cui almeno risulta riaperta la discussione (autonomia e parità scolastica a livello istituzionale, ubriacatura valutativa a livello didattico, ecc.).

Sulla dimensione di medio periodo il compito del tavolo è evidentemente quello di mantenere aperta e dare ulteriore spazio alla discussione libera su questi temi, senza alcun partito preso, forti di quello spirito critico che ricordiamo continuamente come uno dei fondamenti e delle caratteristiche della scuola pubblica.

Sulla "riforma" propriamente detta è invece indispensabile dare continuità alle lotte e ai risultati conseguiti nell'ultimo anno. Il pericolo infatti è che la pur lenta ma progressiva applicazione di elementi importanti da parte dell'amministrazione e la propaganda che li accompagna e che mira a far intendere le trasformazioni come già a regime possano togliere forze a chi ha lottato fino ad oggi. E al contrario possano rafforzare le opportunistiche prese di posizione di chi, anche nel centro-sinistra, sta solo sperando nella sconfitta del movimento. I

n questo senso l'uscita pubblica di Rutelli che comunica - come esponente del prossimo governo - che darà per acquisita la riforma è estremamente utile perché ci chiarisce bene come i più svariati soggetti che a gennaio e maggio scorso aderivano alle manifestazioni potranno subito approfittare della nostra debolezza per fondare la loro idea di scuola pubblica sulla riforma Moratti.

Non potremo fingere di non averlo saputo. Unica pratica per contrastare questa deriva possibile è dare continuità al movimento e organizzare la non-applicazione della "riforma".

 

La "riforma" Moratti propriamente detta

La "riforma" Moratti propriamente detta propone una serie ampie trasformazioni.

Qui ne traccio una sintesi partendo dal concetto di personalizzazione, perché mi pare che - per come si viene connotando di riferimenti alle trasformazioni organizzative, curricolari e ideologiche - possa bene dare una visione complessiva con poche lacune.

Piani personalizzati infatti è il termine con cui vengono indicati i curricoli diversi messi a punto per ogni alunno a partire dalle caratteristiche di ognuno in contrapposizione all'individualizzazione, indicata come un intervento sul metodo che mantiene egualitario l'insieme dei contenuti e quindi non rispetta a sufficienza le differenze personali tra i soggetti.

La filosofia di fondo è:

individualizzazione = scuola di massa = egualitarismo mentre personalizzazione = scuola della persona = differenze per capacità e talento.

E si badi, non è una forzatura interpretativa: basti andare a leggersi le risposte dell'equipe Bertagna ai dubbi degli insegnanti in aggiornamento e si vedrà che i termini
sono proprio questi se non più espliciti. Ovviamente questo rafforzamento di un paradigma selettivo e canalizzante creerà danni se non verrà rigettato in modo consapevole e collettivo. Pensiamo allo slittamento di pensiero che si potrà creare, nel corso del tempo - riguardo al ruolo della scuola pubblica e agli scopi degli insegnanti; e all'effetto semplicemente distruttivo sugli "ultimi della classe" e di promozione sui "migliori": la scuola dà una mano alla società ad avverare le profezie autoavverantesi; la scuola si appiattisce nel ruolo di agente della società che crea differenziazione sociale e di classe.

Ovviamente questo invito a modificare termini e procedure metodologiche sarebbe poco pericoloso se non si collegasse a trasformazioni organizzative che lo rendono concreto e pesante.

Vediamole:

  1. le ore opzionali e facoltative che oltre a frantumare il gruppo classe invitano "la famiglia" a soppesare i talenti dei propri figli, a proiettare su di loro i propri desideri o le proprie paure e a costruire percorsi differenziati a partire dai 5 anni e mezzo. Anche qui le finalità di smistamento precoce in canali a seconda della classe sociale è evidente negli stessi documenti ministeriali: "falegnameria o latino" recita un depliant ministeriale alle medie!

  2. L'anticipo, anche questo richiesto dai genitori che sono indotti a valutare il grado di sviluppo psicologico dei figli già a due anni e mezzo (salvo che poi la scelta di anticipare avviene nella maggior parte dei casi per risparmiare sul costo degli asili nido)

  3. L'insegnante tutor che, oltre a segmentare e porre in concorrenza i lavoratori, crea figure deputate a coordinare i colleghi subordinati, a orientare gli alunni nelle ore opzionali in base a talenti e capacità, raccoglie valutazioni e osservazioni finalizzandole alla differenziazione personalizzante.

  4. L'istituzione del portfolio che si presenta come uno strumento per fissare le immagini che gli alunni producono di sé, ipotecandone frammenti di futuro sin dalla più tenera età, piuttosto che uno strumento aperto di raccolta di esperienze e di autovalutazione.

 

La "riforma" Moratti e i tagli

Accenno solo a questo punto, ma doverosamente: una piena realizzazione della riforma porterebba a una diminuzione di moltissimi lavoratori della scuola. Ciò significa guardare la riforma come ad una modalità per garantire tagli annuali per i prossimi 10 anni, cioè le finanziarie taglierebbero semplicemente per effetto della progressiva entrata a pieno regime della riforma (tutor, compresenze, tagli ore, .) Dei lavoratori rimasti, la percentuale di esterni con contratti precari crescerebbe enormemente.

 

I nostri punti di forza

Contro queste trasformazioni (cui dobbiamo aggiungere le Indicazioni Nazionali) si sono attivati due elementi di resistenza estremamente forti. Da una parte la resistenza sociale a partire dal Tempo Pieno, dall'altra la resistenza sindacale degli insegnanti contro la gerarchizzazione.

Il Tempo Pieno è un modello di scuola che crea grande coesione tra genitori, bambini/e e lavoratori/trici della scuola. Crea comunità. Nel momento in cui l'attacco al tempo pieno è divenuto evidente i legami di queste comunità hanno espresso il meglio di sé trascinando all'opposizione della riforma anche settori della scuola che fino ad allora erano freddi o titubanti. I risultati sono stati parziali, ma consistenti (se si pensa che sono stati ottenuti nell'intervallo di tempo tra le uscite di D'Alema e quelle di Rutelli sull'inevitabilità della riforma). Tuttora, in attesa dell'effetto dei prossimi decreti attuativi sulla scuola superiore, il blocco del TP rimane la risorsa sociale che abbiamo a disposizione. Occorre fare in modo che la lotta di sopravvivenza del modello si intrecci a lotte per aspetti di questo modello che possono essere fatti propri da altri segmenti di scuola (ad esempio la difesa delle compresenze).

L'ostilità degli insegnanti italiani per i processi di gerarchizzazione e di differenziazione salariale in base a presunti meriti, bravure, ecc è assodata.

Cadde Berlinguer sul concorsaccio, la Moratti avrà non poche difficoltà sul tutor. Ad oggi la mancata contrattualizzazione della figura ha fatto sì che si formasse un fronte unitario che rifiuta la nuova figura. In questo fronte però stanno sia coloro che la rifiutano del tutto, sia coloro che attendono la contrattualizzazione e lamentano i mancati passi in questo senso della moratti.

Qui è importante fare prima possibile chiarezza nel nostro fronte, anche perché nel tempo questa diversa ottica potrebbe rivelarsi un grande fattore di debolezza. Io credo che idee come quella del tutor-diffuso o suddiviso o della funzione tutoriale spalmata (per citare idee che sono circolate con insistenza) non eliminano l'ingresso dell'elemento gerarchizzante e finiscono per isolare i tanti collegi che coerentemente rifiutano di fornire i criteri per la nomina.

Credo che quella sia la strada da continuare a percorrere. In questo senso anche leggere i risultati e le proposte della commissione relativa all'art. 22 del contratto crea un notevole smarrimento. Soggetti sindacali e -addirittura - associativi che fanno parte del tavolo hanno sottoscritto ipotesi di carriera connesse ai sistemi di valutazione e agli incarichi che è difficile leggere indipendentemente dalla battaglia che stiamo portando avanti, tanto più che proprio le ricerche ocse che vengono citate in apertura del documento smentiscono l'effetto positivo di differenziazioni concorrenziali tra docenti!

 

Cosa fare

Schematizzando credo che si debba lavorare per:

  1. Mantenere più ampie possibili le aree di non applicazione della riforma.
    No tutor, no alla ristrutturazione del pof con diminuzione di ore, no all'applicazione delle indicazioni nazionali, no alla perdita delle compresenze. Starà ai sindacati e ai comitati pensare, progettare e lanciare battaglie coraggiose in queste direzioni.

  2. Difficile parlare di sciopero contro la riforma, dopo che ormai è divenuta legge da un anno e mezzo. Ma se il primo tentativo lo hanno fatto solo i cobas non è detto che non si possa pensare che un secondo potrebbe essere più partecipato. Ormai sembra un ritornello, ma è difficile per noi essere credibili nella società se non siamo in grado di impegnarci chiaramente nella battaglia fino a indire uno sciopero.

  3. Dare continuità al ruolo protagonista delle comunità scolastiche mobilitate: quelle del tempo pieno prima di tutto, ma mantenendo sempre lo sguardo alle superiori, agli studenti, all'università. In questo senso gli appuntamenti concordati da coordinamenti e comitati sono importantissimi: primo giorno di scuola volantinaggio in tutte le scuole, primo ottobre giornata nazionale dentro e fuori dalle scuole contro la "riforma" Moratti.

  4. Mantenere aperti gli spazi di discussione a partire dalla "riforma" propriamente detta, ma per poi arrivare a parlare anche delle altre questioni che progressivamente escono dai tabù.

 

E dopo, se si vince?

Se una mobilitazione crescente dovesse costringere Rutelli a rinunciare ai suoi sogni, cosa chiederemmo ad un governo di centro-sinistra? Visto che gli altri "relatori" si sono lasciati andare a queste ipotesi mi lascio andare anch'io: Abrogazione della riforma, prima di tutto, con evidente ritiro del decreto tutor-tempo-pieno. E di propositivo: innalzamento dell'obbligo a 18 anni, con percorsi unici per il biennio, ritornando a scommettere sulla scuola della costituzione: per il cittadino critico e per l'autonoma lettura della realtà.

 

Per la scuola di base: tre proposte poco rivoluzionarie (ma temo che non sarà facile convincere Rutelli):
ristabilire un tetto di alunni per classe cancellato sotto Berlinguer,
garantire il tempo pieno secondo le richieste,
garantire la scuola dell'infanzia pubblica secondo le richieste.

Sarà costoso, sarà poco innovativo, ma se si decide che prima di tutto è il caso di ascoltare la società, allora occorre partire da qui.

Kraus ha ragione nella duplice valenza dell'aforisma: se la scuola accetta di digerire alcune cose, ciò che finisce nella bocca degli scolari italiani non sarà propriamente appetitoso. Occorre ostacolare il processo di digestione, occorre che la "riforma" rimanga inapplicata soprattutto nelle teste e negli animi degli insegnanti, dei genitori, della scuola italiana.