ALLARME MOBBING!

 
 

Da quando, nel 1986, lo psicologo tedesco Heinz Leymann ha parlato per primo del fenomeno definendolo come terrorismo psicologico sul luogo di lavoro, il mobbing ha fatto, purtroppo, passi da gigante.

E’ una delle più diffuse e meno conosciute sindromi del nostro tempo.

Qualche dato secondo stime dell’Unione Europea, nel 1977 circa 12 milioni di lavoratori sono stati vittime di persecuzioni. L’Italia è il paese con il più basso numero di denunce mentre il fenomeno è in pericoloso aumento tanto da essere considerato, in Svezia, un vero e proprio reato. Si stima che nel nostro paese siano almeno 1 milione le persone sottoposte a questo tipo di vessazione il motivo principale della scarsa incidenza di mobbing è la mancanza di sufficienti strumenti per conoscerlo.

In Italia mancano leggi in materia una serie di proposte di legge sono state depositate alla Camera dei Deputati per portare alla luce, prevenire e combattere il mobbing. Solo oggi compaiono i primi studi. I dati indicano che il mobbing sia una malattia sociale a carattere trasversale che colpisce i lavoratori degli enti pubblici e privati, le grandi città ed i piccoli centri, le fabbriche delle multinazionali e le aziende a conduzione familiare.

Nell’ambito del lavoro il mobbing può essere definito più precisamente come un processo di comunicazioni ed azioni conflittuali tra colleghi, o tra superiori e collaboratori, in cui la persona attaccata è messa in posizione di debolezza e di mancanza di difese, e aggredita, direttamente o indirettamente, da una o più persone, con attacchi sistematici, frequenti e protratti nel tempo, il cui fine consiste nell’estromissione, reale o virtuale, della vittima dal luogo di lavoro. Quindi il mobbing non è un singolo episodio di critica eccessiva, non è uno scherzo di cattivo gusto, non consiste in una singola occasione di cattivo utilizzo delle competenze professionali. Il cosiddetto mobbizzato si viene così a trovare in una condizione di isolamento sociale, di sotto-utilizzazione e di emarginazione dall’ambiente lavorativo, condizione che ha forti ripercussioni sulla sua salute psicologica e psico-fisica.

La reazione della vittima, di fronte alla sua persecuzione, si evolve secondo un processo scandito da precise fasi

L’INIZIO presenza di una normale situazione conflittuale;

L’AUTOCOLPEVOLIZZAZIONE Gli attacchi diventano sempre più insistenti e frequenti. La vittima, reagisce con stupore ed incredulità di fronte a ciò che le sta accadendo e, nella ricerca di quale siano le ragioni di tali ostilità, individua in se stessa e nei propri atteggiamenti la possibile causa

LA SOLITUDINE la persona viene sopraffatta da un sentimento di solitudine di fronte alla terribile realtà che la circonda, di fronte al vuoto sociale in cui è stata spinta. Il gruppo sembra non voler avere contatti con lei né personali né professionali, nessuno sembra allo stesso tempo accorgersi ed ammettere questo isolamento.

ANESTESIA REATTIVA la vittima è ormai oggetto di una vera e propria persecuzione il mobbing è in atto, la persona non ha armi per combattere, non ha né un testimone né alcuna prova tangibile a dimostrazione di ciò che sta vivendo. Il prossimo passo è la depersonalizzazione.

Conseguenze del mobbing sulla salute psico-fisica delle persone sono inevitabilmente

ANSIA STRESS DISTURBI DI ADATTAMENTO DEPRESSIONE - ABBASSAMENTO DEL LIVELLO DI AUTOSTIMA DISTURBO DEL SONNO AGGRESSIVITA’ RIVOLTA VERSO SE STESSA E/O GLI ALTRI

L’Università degli Studi di Milano non è esente da questo fenomeno gli RLS stanno verificando con preoccupazione la presenza di casi di mobbing che si stanno attuando nelle situazioni e nelle realtà più diverse all’interno del nostro ateneo. A riprova di quanto detto, purtroppo i lavoratori vittime, sono spesso terrorizzati dall’idea che il loro "caso" venga reso pubblico per timore di una intensificazione ulteriore degli attacchi e tendono a voler nascondere la propria condizione sperando in una possibile soluzione individuale, che così affrontata non può che risolversi in un trasferimento o cambiamento di mansioni che potrebbe non rientrare affatto nel rispetto delle stesse garanzie professionali. In alcuni casi di particolare professionalità, non vi è nemmeno la possibilità del trasferimento-fuga dal contesto lavorativo specifico. Inoltre, spesso i lavoratori-vittima stentano a riconoscere la loro condizione di "mobbizzati", rifiutando conseguentemente di affrontarlo come un problema di salute e sicurezza sul lavoro.

Invitiamo pertanto tutti i lavoratori che si riconoscano vittime di persecuzioni a segnalare il loro caso agli RLS vorremmo poter intervenire per evitare che l’allontanamento dal luogo di lavoro non diventi l’unica soluzione per chi si trova a subire le molestie. Vorremmo che l’Amministrazione intervenga come parte tutelante nei confronti del mobbizzato ed in maniera dura nei confronti di TUTTI COLORO che si arrogano il diritto di maltrattare in maniera ingiustificata un collega, sentendosi inattaccabili magari semplicemente perché collocati in una posizione gerarchica superiore.

Crediamo che quando si parla di tutela e sicurezza sul luogo di lavoro, fra le condizioni oggettive si debba considerare anche il contesto ambientale nel quale il lavoratore è collocato. Il presupposto determinante per il raggiungimento di qualsiasi obiettivo si ponga un gruppo di lavoro, è quantomeno un ambiente non ostile.

Il mobbing è a tutti gli effetti una vera e propria MALATTIA PROFESSIONALE, allo stesso tempo deve essere considerata una malattia sociale, nel momento in cui i suoi effetti negativi si ripercuotono su tutta la società.

L’estromissione di una persona dal mondo del lavoro la rende improduttiva, aumenta il tasso di disoccupazione ed i costi passivi che tutta la comunità deve sostenere.
 


FERMIAMO INSIEME QUESTA INACCETTABILE BARBARIE


 
 

COORDINAMENTO R.L.S.

Per info e contatti http//users.unimi.it/~rls/home.htm
 
 
 
 

Consigli pratici per resistere al MOBBING

e non farsi travolgere da esso

1. Abbiate pazienza, non cedete allo scoramento ed alla depressione

Il mobbing cui siete sottoposti non avviene per colpa vostra le motivazioni socio-psicologiche alla base del mobbing sono molteplici e complesse, oggetto di studi approfonditi di sociologi, psicologi e giuristi. Voi siete solo un capro espiatorio di una situazione che non dipende da vostre colpe.

2. Non pensate alle dimissioni
 
 

3. Non pensate di essere gli unici

Si calcola per difetto che in Italia vi siano almeno un milione e mezzo di mobbizzati (circa il 6% della forza lavoro). Pensare di essere gli unici è una falsa immodestia siete solo uno dei tanti.

4. Organizzatevi per resistere, raccogliendo la documentazione delle vessazioni subite

Annotate ogni spiacevole evento di cui siete vittima, con ora-luogo-pretesto utilizzato
 
 

5. Cercate potenziali testimoni

l’istinto di difesa nei confronti di chi vi aggredisce rischia di isolarvi totalmente anche da coloro che potenzialmente potrebbero solidarizzare con voi, quindi cercate di non attribuire a chi/coloro che vi maltratta/no un’influenza maggiore di quanto realmente ne abbia/no
6. Denunciate il mobbing

Informate per iscritto il Vs. responsabile delle molestie di cui siete oggetto se è egli stesso ad attuarle, rivolgeteVi al suo diretto superiore così facendo, se questi non interviene, puo’ venire accusato di violazione dell’art. 2087 del codice civile. La recente sentenza sotto citata ne è una dimostrazione
 
 

RISARCIMENTO DEL DANNO BIOLOGICO DA "MOBBING" Per angustia del luogo di lavoro e insulti da parte del caporeparto (Tribunale di Torino, Sezione Lavoro I grado, 16 novembre 1999, Est. Ciocchetti). (estratto della sentenza)……L’azienda si è difesa contestando le affermazioni dell’ex dipendente e sostenendo comunque che essa non poteva essere chiamata a rispondere di eventuali comportamenti scorretti del capo reparto. Il giudice, dopo aver sentito vari testimoni, che hanno deposto sulle condizioni di lavoro, sul comportamento del capo reparto e sulle condizioni della lavoratrice, con sentenza in data 6 ottobre 16 novembre 1999 (Est. Ciocchetti), ha accolto la domanda, determinando in via equitativa il risarcimento dovuto alla lavoratrice in misura di lire dieci milioni. Nella motivazione della decisione il giudice ha rilevato, tra l’altro, che la vicenda aveva formato oggetto di segnalazione da parte della rappresentanza sindacale aziendale e che la malattia della lavoratrice era attestata dai certificati esibiti. Del pregiudizio subito dalla lavoratrice, ha affermato il giudice, deve indubbiamente essere chiamato a rispondere il datore di lavoro ai sensi dell’art. 2087 cod. civ., essendo questi tenuto a garantire l’integrità fisio-psichica dei propri dipendenti e, quindi, ad impedire e scoraggiare eventuali contegni aggressivi e vessatori da parte di preposti e responsabili, nei confronti dei rispettivi sottoposti. Nel valutare la vicenda il giudice ha ritenuto che essa debba essere classificata come un caso di "mobbing", fenomeno ormai internazionalmente noto…..