La decurtazione dello stipendio per i docenti ammalati
e la sindrome del “castigo che cerca la colpa”

di Serafina Gnech


Se c’è una sindrome che ha un’enorme diffusione fra gli insegnanti, è quella del “castigo che cerca la colpa”.

Come ben sanno i lettori di Kafka, questa sindrome si scatena a fronte di un “castigo” oscuro, del quale non si penetrino le ragioni, e nasce senz’altro anche dal desiderio di riportare le cose nell’ambito di ciò che è giusto, perché solo ciò che è giusto è accettato, ancorché con dolore.
Se volessimo, potremmo insinuare che nella scuola si infliggono “castighi” al fine di far emergere colpe vere o presunte, e che queste colpe a loro volta creano la giustificazione per nuovi castighi; e si creano così gli anelli di una catena perversa…

Comunque sia, che gli insegnanti cerchino la colpa, anzi, le colpe e che essi esercitino “l’autocritica in maniera costante, persino esagerata”, come sottolinea Agnese Bertello nel suo re-centissimo articolo sullo studio “Getsemani” relativo al burn-out degli insegnanti (“Diario” n° 38), è un dato di fatto. E ben lo sa chi, per vocazione o mestiere, si venga a trovare in assemblee di do-centi a ragionare sulle richieste contrattuali o a parlare semplicemente di scuola.

Così, gli insegnanti hanno incassato senza battere ciglio il “castigo” relativo alle assenze per malattia previsto dall’art. 23, comma 8 del contratto collettivo firmato da confederali e Snals nel 1995. Come ben sappiamo, esso prevedeva che, per i primi nove mesi di assenza, al dipendente venisse sottratto ogni compenso accessorio. Va detto che la colpa - l’assenteismo dei docenti era, secondo gli stereotipi ricorrenti, una colpa grossa - e che, in ogni caso, il castigo venne edulcorato nel contratto del 1999, che ne restrinse l’applicazione ai primi 15 giorni di malattia.
Comunque, l’articolo c’è: fu concordato fra Governo e OOSS firmatarie la bellezza di 7 anni fa e si inserì nella logica di contrazione dello stipendio tabellare e del parallelo ampliamento dell’accessorio (sia fisso e continuativo che saltuario, come quello derivante dal fondo dell’istituzione scolastica) che i confederali assunsero all’epoca e che intendono ancor oggi portare avanti. Non a caso essi chiedono, nella loro piattaforma, un ampliamento del fondo d’istituto e del potere contrattuale delle RSU, marginalizzando così di fatto il lavoro d’aula e rendendo sempre più incerta e precaria la retribuzione dei docenti.

Ma, come mai quel procedere senza scosse garantito dal binomio castigo-colpa non funziona più?
Come mai i castighi, sia pure vecchi, non trovano più ragione nelle colpe che gli stereotipi ancora vigenti portano addosso?

Non posso non pormi, come molti altri, questa domanda scorrendo gli articoli apparsi ieri sulla stampa. Vi si legge che, a fronte della volontà di Tremonti di applicare l’art. 23 del contratto, che prevede – come si diceva – la decurtazione dello stipendio in caso di malattia non superiore ai 15 giorni, UIL e CGIL avrebbero annullato la colpa e il castigo (o meglio, kafkianamente, il castigo e la colpa) ed avrebbero invocato un accordo del contratto 2001, che superebbe la norma contrattuale.

Accogliamo con piacere questa notizia. Tutto, nelle scelte politiche della Gilda, va contro la logica dell’accessorio e di tutti i marchingegni a cui essa si presta.

E questo risulta chiaro a chiunque voglia leggere il documento congressuale di maggio (pubblicato nel Sito nazionale), che chiede il “contenimento del fondo d’istituto” o la piattaforma contrattuale Gilda, che alla voce “Retribuzioni Europee” (oltre al “raggiungimento del massimo stipendiale in un arco di tempo non superiore a venti anni”) chiede “il conglobamento nello stipendio tabellare dell’Indennità integrativa speciale” e la trasformazione della RPD (Retribuzione Professionale Do-cente) in Indennità di funzione pensionabile e agganciata all’anzianità . . . ”

Non risulta affatto chiaro, invece, secondo quale linea coerente sindacati rappresentativi dei docenti firmino dei contratti sui quali il Ministro delle Finanze di turno può trovare così chiari ed evidenti appigli per una politica di puro risparmio.

O dobbiamo pensare che, ora come sempre, la politica della scuola sia solo al servizio della politica. E qui allora ci sono altre colpe: non le colpe oscure che il castigo richiama, ma le colpe concrete, verificabili di chi fa politica per i docenti solo nel momento in cui essi divengono massa d’urto pronta per la politica di piazza.

E noi ci dovremmo fidare?