La scuola alle Regioni

Il paradosso della devolution nella scuola

di Daniele Checchi, www.lavoce.info del 05-12-2002


 








La proposta di devolution presentata recentemente in Parlamento dal Ministro Bossi prevede (vedi Bordignon-Pisauro), tra le altre cose, che la competenza in materia scolastica divenga esclusiva da parte dei governi regionali (1).

Ricordiamo innanzitutto che alcune competenze sono già state attribuite alle Regioni (per esempio la fissazione del calendario scolastico) così come altre competenze sono da sem-pre state esercitate dagli enti locali (le Province hanno la competenza degli edifici per la scuola media superiore). In molti casi non esiste però una ratio precisa nella ripartizione degli ambiti, che non sia di tipo storico.

Nell’attuale progetto di devolution il passaggio delle competenze può significare che le Regioni acquisiscano autonomia nella determinazione:

Per alcuni di questi aspetti il nostro paese vive già da tempo in una situazione di devolution di fatto, a causa del divario di risorse disponibili. Per quanto riguarda la scuola ele-mentare, negli anni Cinquanta più del 10 percento di alunni era in classi plurime e i tassi di partecipazione in alcune Regioni non raggiungevano il 90 percento (in Puglia, Basilicata, Cala-bria e Sicilia tali tassi si aggiravano intorno all’85 percento). Nel giro di due decenni l’intera popolazione di riferimento frequentava la scuola elementare, ma questo era il risultato di una crescita significativa nel livello delle risorse impiegate. Tuttavia i divari territoriali non si sono azzerati: nel 1962 (anno della riforma della scuola media unificata) vi erano mediamente 21,8 alunni per insegnanti, con un massimo di 27,1 in Puglia ed un minimo di 16,2 in Friuli e in Um-bria. Vent’anni dopo, nel 1980, la dimensione media delle classi a livello nazionale è scesa a 19 alunni, con estremi di 14,6 in Umbria e 25,4 in Puglia.

A differenza del caso delle elementari il divario regionale per la scuola media è più ridotto: nel 1962 il valore minimo del rapporto studenti/insegnanti si registra in Umbria (8,6) e quello massimo in Friuli (13,3); vent’anni dopo il minimo si verifica in Calabria (9,1) e il massimo in Piemonte e nel Lazio (10,3). La strategia di allargamento della scuola media sembra essere stata quella della creazione di scuole più capienti, come indicato dalla dimensione media delle scuole in compresenza di un calo della dimensione media delle classi.

Scuole di serie A e B
Se il progetto di devolution dell’attuale Governo procederà, ci si potrà attendere un‘inversione di tendenza nel processo di convergenza degli standard scolastici. Il rischio è che le Regioni con minori disponibilità di risorse siano costrette ad aumentare le dimensioni delle classi e/o a sfoltire il numero degli insegnanti, peggiorando lo standard di fornitura del servizio scolastico. A fronte di titoli di studio formalmente identici (licenza della scuola media inferiore) corrispon-derebbe quindi un livello di acquisizione di competenze molto disomogeneo. Le conseguenze potrebbero essere molto gravi nel medio-lungo periodo.

Si può dimostrare che anche nel caso italiano (così come già ampiamente documentato per gli Stati Uniti, Svezia e Gran Bretagna) una riduzione nel numero degli insegnanti produce una ri-duzione nella prosecuzione scolastica degli individui. Poiché inoltre l’elemento di gran lunga più incisivo sulla carriera scolastica individuale è l’istruzione dei genitori, rischia di prendere il via una spirale perversa da cui l’Italia sembrava essersi progressivamente emancipata. Scarse risorse pubbliche disponibili per l’istruzione (nella forma di pluriclassi, edifici inadeguati, clas-si con doppi e tripli turni – realtà ancora diffusa in alcune aree del Mezzogiorno) contribuiscono a ridurre la scolarità in un‘intera generazione.

Un meccanismo concorrenziale funziona se…
L’idea che la devolution applicata al problema dell’istruzione possa "…realizzare il massimo di libertà di insegnamento e, in ultima analisi, [di] accelerare il processo di modernizzazione del paese di cui l’istruzione e la formazione sono pilastri fondamentali" sembra sinceramente non fondata sulla base dei risultati resi noti dalla letteratura di economia dell’istruzione. L’aumento della libertà di scelta degli individui produce effetti positivi sull’apprendimento individuale e sulla gestione più efficiente delle risorse solo quando la popolazione residente può avvalersi di una ampia varietà di scelta tra offerte formative disponibili ( il meccanismo che può produrre questo risultato è la concorrenza tra le scuole nel tentativo di attrarre il maggior numero di studenti, e questo è tanto più efficace quanto più i finanziamenti seguono gli studenti (per cui la scuola che riesce ad attrarre più studenti ottiene maggiori fondi). Questo peraltro è il principio che ispira il meccanismo di finanziamento delle università italiane, attraverso il Fondo di riequilibrio.

Ma tutto ciò non ha senso quando si vogliano applicare questi principi alla scuola dell’obbligo, sia pure nella sua doppia articolazione della secondaria proposta dal Ministro Moratti. Innanzi-tutto il concetto di istruzione obbligatoria vincola l’ente pubblico alla fornitura del servizio con modalità fruibili localmente dall’utente (per cui non si possono chiudere le scuole come si fa con gli ospedali, in quanto i bambini non sono accorpabili come i degenti ospedalieri). Ma al di là di questo, un meccanismo concorrenziale può operare solo se la popolazione è territorial-mente mobile, cioè è disposta a cambiare regione di residenza alla luce della diversa qualità del servizio scolastico offerto. In assenza di questo meccanismo, non esiste nessun sistema di punizione delle Regioni inefficienti nel fornire istruzione di buona qualità ai propri cittadini.

(1) Si legge infatti nella Relazione che accompagna il Disegno di legge costituzionale (vedi disegno legge): "In materia di istruzione e formazione, la legislazione statale dovrà definire esclusivamente le norme generali quali: l’ordine degli studi, gli standard di insegnamento, le condizioni per il conseguimento e la parificazione dei titoli di studio. Le Regioni dovranno, inve-ce, curare l’organizzazione scolastica, strutturare l’offerta dei programmi educativi, garantire la gestione degli istituti scolastici. L’obiettivo della riforma è quello di realizzare il massimo di li-bertà di insegnamento e, in ultima analisi, di accelerare il processo di modernizzazione del paese di cui l’istruzione e la formazione sono pilastri fondamentali".

(2) Si veda per esempio Minter-Hoxby, C. 2000c. Does Competition Among Public Schools Be-nefit Students and Taxpayers?, "American Economic Review", 90(5), pp 1209-1238.

Per saperne di più:
G.Brunello-D.Checchi 2002, Qualità delle formazione scolastica, scelte formative ed esiti sul mercato del lavoro, mimeo 2002. Scaricabile sul sito Internet: http://www.eco-dip.unimi.it/pag_pers/checchi/Pdf/un8.pdf